Andrea Benigni, ceo di Eca Italia – Archivio
Negli ultimi anni, lo smart working si è affermato come una soluzione sempre più diffusa per migliorare la produttività e l’equilibrio tra vita privata e professionale, ma il suo utilizzo non è ancora uniforme tra le diverse categorie lavorative, con alcune aziende che faticano a integrarlo nei propri modelli organizzativi. Oltre ai vantaggi operativi, esistono importanti incentivi fiscali che potrebbero rendere il lavoro agile ancora più conveniente per le imprese. Secondo un report dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, l’adozione del lavoro agile potrebbe incrementare la produttività fino al 15-20% su scala nazionale. Inoltre, il 72% dei lavoratori nelle aziende italiane ha dichiarato di essere più produttivo lavorando da remoto. Tuttavia, il numero di lavoratori in smart working in Italia è calato dopo la pandemia raggiungendo una stabilizzazione intorno ai 4,38 milioni, con una media di tre giorni di lavoro agile a settimana nelle grandi aziende e due nel settore pubblico. La ricerca ha inoltre analizzato 196 titolari di studi professionali per valutare le ricadute del lavoro agile sulla prestazione lavorativa e i risultati indicano che su 12 intervistati, 11 hanno registrato miglioramenti grazie allo smart working. Tra questi, i più rilevanti sono l’aumento della produttività, segnalato dal 33% degli studi, e l’efficacia del lavoro, evidenziato dal 34% degli intervistati. Tuttavia, nonostante questi dati incoraggianti, l’adozione dello smart working negli studi professionali è ancora limitata, spesso a causa di resistenze organizzative o di una scarsa conoscenza delle opportunità fiscali disponibili.
«Il fenomeno dello smart working in Italia nel settore privato restituisce uno scenario non univoco, complesso da analizzare – spiega Valentina Pepe, partner dello studio legale Pepe e Associati -. Dopo l’esplosione del lavoro agile a partire dal periodo pandemico, dal 2024 sono venute meno le misure che imponevano la concessione del lavoro agile per determinate categorie di lavoratori. Oggi lo smart working nel settore privato è regolamentato tramite accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore e, nelle esperienze più consolidate, sono presenti regolamenti sul funzionamento dell’istituto, negoziati con le organizzazioni sindacali. Si lavora da remoto in media nove giorni al mese nelle grandi imprese e 6,6 nelle pmi. Nel 2024 i dati dello smart working nel settore privato hanno registrato un andamento in linea con l’anno precedente, con una lieve flessione che ha interessato soprattutto le pmi, mentre nel 2025 è prevista una crescita dell’istituto, soprattutto nelle grandi imprese. Il dato si scontra, tuttavia, con alcune recenti notizie che riportano la volontà di molte grandi aziende multinazionali, anche del settore tecnologico, di un ritorno in ufficio cinque giorni a settimana. Questo panorama discordante è coerente con il dibattito, sempre vivo, tra sostenitori e detrattori del lavoro agile: molti manager e aziende considerano le esperienze di lavoro agile finora attuate non positive a livello di produttività ed efficientamento, senza considerare che, spesso, la problematica in termini di efficienza deriva da una mancata modernizzazione dei modelli organizzativi e dei processi aziendali. Resta il fatto che la flessibilità nell’organizzazione del lavoro costituisce oggi una leva fondamentale per attrarre e trattenere talenti, come dimostra la sempre crescente attenzione e sviluppo, anche all’estero, di modelli di “settimana lavorativa corta».
Per incentivare il lavoro agile, EmmeStudio suggerisce una serie di strumenti fiscali che le aziende possono sfruttare per ottimizzare i costi e migliorare l’efficienza:
● Credito d’imposta del 15%: investire in strumenti per il lavoro da remoto, come software e attrezzature, permette di ottenere un credito d’imposta del 15%;
● Contributi a fondo perduto: alcune Regioni offrono finanziamenti e agevolazioni per le imprese che adottano modelli di lavoro flessibili. È consigliabile verificare le opportunità disponibili localmente;
● Incentivi per la digitalizzazione: formare i dipendenti all’uso di strumenti digitali consente di accedere a bonus e sgravi fiscali, con un impatto positivo sulla produttività;
● Taglio dei costi operativi: ridurre la presenza fisica in ufficio significa meno spese per affitti, utenze e consumi.
«Lo smart working non è solo un’opportunità per i dipendenti, ma un vantaggio concreto per le aziende. Ridurre i costi operativi, aumentare la produttività e accedere a incentivi fiscali può trasformare il modo in cui le imprese lavorano, rendendole più efficienti e competitive», sottolinea Silvio Andreoli, amministratore unico di EmmeStudio.
Il lavoro agile si conferma una strategia vincente per le aziende e gli studi professionali, migliorando non solo la produttività e l’efficienza, ma anche la qualità della vita dei lavoratori. L’accesso a incentivi fiscali e agevolazioni economiche rappresenta un ulteriore stimolo per le imprese che vogliono adottare modelli di lavoro più flessibili e innovativi, contribuendo a rendere il mercato del lavoro più moderno e competitivo.
Cresce lo smart working internazionale
Per smart working internazionale si intende quando un dipendente lavora in un Paese ove il suo datore di lavoro non ha una propria sede. Per esempio un marketing specialist italiano che lavora dalla propria abitazione in Italia per un’azienda che ha sede negli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese estero, senza spostarsi fisicamente e con contratto di lavoro italiano o in alternativa un ingegnere tedesco individuato da un’azienda italiana che lavorerà dalla propria abitazione in Germania a beneficio del suo datore di lavoro italiano, laddove l’azienda italiana non è dotata di una sua filiale in Germania. In questo caso il contratto di lavoro del dipendente sarà quello tedesco.
Il numero crescente di progetti di remote working internazionale conferma la tendenza di assunzione di talenti stranieri da parte di società italiane prive di filiali nei Paesi di residenza o lavoro dei dipendenti esteri. Si tratta di un nuovo modello di organizzazione internazionale del lavoro che ha trovato una sua consistente espressione a valle della fase pandemica
Il 29% delle aziende di medio grandi dimensioni (250-1.000 dipendenti) del campione studiato dal Politecnico di Milano ricorre allo smart working internazionale contro il 4% delle pmi, per le quali il settore che meglio esprime questo trend è, come per le grandi imprese, rappresentato da quello Manifatturiero (62%). Il 53% delle aziende di medio-grandi dimensioni studiate è rappresentato da gruppi internazionali, evidenziando la necessità di una struttura organizzativa orientata alla maturità quale caratteristica di base per guardare a questo tipo di modello di lavoro alternativo.
Le principali motivazioni che spingono le grandi imprese ad adottare iniziative di smart working internazionale sono strettamente legate alla sfida del talent shortage, confermando come questa pratica possa rappresentare una soluzione efficace per affrontare la carenza di competenze specializzate: infatti, il 45% delle grandi imprese dichiara di ricorrere all’assunzione o al lavoro da remoto stabile in Paesi in cui l’organizzazione non è presente per attrarre profili con competenze tecniche scarsamente reperibili. Il 31% indica la retention di talenti come seconda motivazione principale che guida le imprese verso lo smart working internazionale. Il 17% ritiene il lavoro da remoto all’estero una leva per l’esplorazione e lo scouting di mercati internazionali ove la capogruppo italiana non ha ancora aperto una propria sede. Per le PMI, invece, il ricorso a questo strumento risiede soprattutto nell’esigenza di espansione in Paesi in cui l’organizzazione sta valutando di aprire altre sedi (30%).
Tra le difficoltà maggiori primeggia, sia per le grandi imprese (48%) che per le pmi (50%), la gestione degli aspetti previdenziali. Per le grandi imprese, la seconda criticità più rilevante è legata alla gestione degli aspetti fiscali; per le pmi, invece, la gestione degli aspetti previdenziali è seguita dalla complessità delle pratiche burocratiche all’estero (34%).
Tra i principali rischi nella gestione dello smart working internazionale nelle grandi imprese, prevalgono: la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement per il 57%, il senso di isolamento per il 47% e le difficoltà di integrazione e disallineamento rispetto ai valori aziendali per il 40%. Nelle pmi il rischio maggiore, per contro, è rappresentato dalla gestione in sicurezza dei dati, indicato dal 46% del campione, seguito dalla difficoltà di integrazione con il team di lavoro per il 31%.
Altra modalità di lavora da remoto internazionale è il distacco virtuale. Si tratta del conferimento di un incarico all’estero a un dipendente di una società dello stesso gruppo aziendale che sarà ubicata, ad esempio, in Germania. Il dipendente tedesco, assunto dalla filiale tedesca, lavorerà per la società italiana, rendendo la sua prestazione in remoto dalla Germania. Il dipendente tedesco entrerà pertanto a far parte virtualmente del team italiano seppure la sua intera prestazione sarà resa dalla Germania. Il Virtual Assignment è diffuso nel 13% delle grandi imprese, potendo far leva sulla presenza di una struttura/filiale estera ove individuare un potenziale candidato. Tra i settori in cui il virtual assignment trova maggiore applicazione spicca il manufatturiero, adottato dal 70% delle imprese con all’attivo iniziative di International smart working.
«È a tutti noto la presenza di un mismatch tra domanda e offerta di lavoro: le aziende stanno soffrendo in modo crescente la scarsità di offerta relativa a profili specialistici, con le maggiori criticità legate al reclutamento di risorse di provenienza e formazione Stem – conclude Andrea Benigni, ceo di Eca Italia -. In questo contesto la soluzione organizzativa favorita dallo smart working internazionale permette alle direzioni risorse umane di poter attingere a potenziali candidati sia in Italia che nella UE in particolare, avuto particolare riguardo di una serie di famiglie professionali che hanno mostrato elevate capacità di performance attraverso lo smart working, come l’R&D di alcuni settori, il Project Management o il Marketing. Questo modello organizzativo non ha ancora conseguito una sua maturità in Italia e in generale nell’Ue, d’altro canto il suo sviluppo si è determinato con maggiore evidenza a valle della pandemia, è peraltro interessante il dato emergente dalla ricerca del Politecnico di Milano, la prima di taglio scientifico nel nostro paese: le aziende di medio grandi dimensioni hanno iniziato a mettere a fuoco questo tipo di opportunità e l’idea di gestire talenti remoti internazionali non è più un concetto astratto».
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